Scritto da 11:50 am Top News, Attualità, Cultura, Torino

Ugo Pinasca non esiste (ma ci mancherà lo stesso)

È il capolavoro di un docente di packaging e comunicazione che ha avuto la brillante intuizione di crearsi un alter ego più disinvolto, più sarcastico, più “social”, per un lavoro affidato a un’allieva sul museo del falso, senza dover compromettere la propria dignità accademica con troppi hashtag. Su Facebook e Instagram ci stanno gli altri, i suoi studenti, che lo venerano come si fa con certi maestri che sanno essere autorevoli senza mai essere autoritari.

di Valeria Russo

Chi lo conosce sa che dietro Ugo Pinasca c’è uno di quei rari pubblicitari che non si sono mai dimenticati del senso del ridicolo, e forse per questo è riuscito a firmare campagne per colossi come Ferrero e Campari senza mai diventare insopportabilmente brillante. Uno che al “brand” ha sempre preferito il “buonsenso”, e che al posto del verbo “declinare” preferisce ancora usare “dire”.

Tra le sue lezioni, diventate negli anni piccole sedute psicoanalitiche collettive in cui si parlava di grafica, di marketing, di filosofia pop e anche di sé, ogni tanto Ugo compariva con i suoi post-polemica, con le sue piccole invettive eleganti, con i suoi racconti dissacranti di flop industriali. Come quel memorabile affondo sul pandoro Melegatti dedicato a Valerio Scanu, che già di suo era difficile da ingoiare, ma nella confezione nera diventava davvero indigeribile. E giù la riflessione amara – e irresistibile – sul marketing affidato, come da consuetudine italica, al figlio scemo dell’imprenditore, quello che non si voleva mettere in produzione per non guastare i macchinari.

Poi, un giorno, Ugo Pinasca ha detto addio allo IAAD di Torino. Nessun clamore, solo qualche parola accennata ai “valori traditi”, lasciata lì, come una briciola nel bosco. C’è da scommettere che non è stato lui a fare il primo passo verso l’uscita. Ma quando si è trattato di alzarsi, lo ha fatto con il solito garbo, quello che fa più male del rancore. Non ha cercato polemiche, non ha rilasciato interviste: ha lasciato spazio, semmai, ai suoi studenti.

Ed è lì che Pinasca, il personaggio che non esiste, è diventato reale. Centinaia – sì, centinaia – di messaggi, pubblici e privati, su Facebook, Instagram, LinkedIn. Lacrime vere, emoji ironiche, cuori, caroselli, storie. Perché quando se ne va un docente che ha insegnato prima di tutto a pensare, quello che resta non è solo una cattedra vuota. È il senso di aver avuto, almeno una volta, qualcuno che ti ha trattato come un collega in divenire e non come uno studente in difetto.

Certo, continuerà a esistere – e forse a colpire – il dubbio che tutto, perfino il suo addio, faccia parte di una grande installazione. Un progetto sul falso. Uno specchio rovesciato sui social. Qualcosa che un giorno finirà in un museo, con l’hashtag di sempre: #ugopinascanonesiste.

Ma chi lo ha conosciuto – davvero – sa che quella mente lucida e quel cuore fintamente burbero ma onesto come pochi, continueranno a lavorare. Magari lontano dai riflettori, o solo da quelli accademici. Perché Ugo Pinasca non esiste, d’accordo. Ma esistono quelli che l’hanno amato. E questo, a ben vedere, è molto più difficile da smentire.

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Last modified: Giugno 27, 2025
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